Dopo due drammatici anni di pandemia è diventato chiaro a tutte e a tutti quanto la scuola sia indispensabile per il nostro presente e il nostro futuro, quanto essa sia importante nella vita di ogni giorno per le studentesse e gli studenti, quanto siano indispensabili tutte le diverse professionalità che operano in essa: per questo avevamo la ragionevole speranza che il Governo fosse pronto a dare un vero e tangibile segnale di attenzione alla Scuola Pubblica.
In questa direzione sembrava andare il “Patto per la scuola al centro del Paese” sottoscritto a maggio, un documento importante che contiene impegni precisi per il rilancio, la valorizzazione del personale scolastico e la promozione del protagonismo di tutte le componenti del mondo della scuola. Tuttavia, fin dai giorni successivi alla sottoscrizione, abbiamo avuto l’impressione di trovarci di fronte ad un Governo per il quale gli impegni, pur sottoscritti formalmente, vengono poi sconfessati nei fatti e nella sostanza.
Anzi, abbiamo percepito il progressivo ritorno di tutto l’armamentario ideologico sulla scuola codificato nell’immaginario collettivo dalla propaganda degli ultimi 20 anni che, partendo dalla Moratti e passando dalla stagione dei tagli Gelmini/Tremonti, approda poi alla Legge 107.
È il vecchio e abusato ritornello neoliberista della scuola statale e pubblica considerata alla stregua di “un secchio bucato”, uno spreco che merita sempre meno risorse. In particolare il personale della scuola dovrebbe guadagnarsi eventuali investimenti dimostrando di “meritarli” favorendo una “sana competizione universale” differenziando sempre più individui, classi e scuole.
Ora basta.
La scuola, soprattutto nella difficile fase che stiamo attraversando e dopo gli interminabili mesi di didattica a distanza che, speriamo, di avere ormai definitivamente alle spalle, non può essere considerata ancora un peso, una spesa da contenere. Lo ribadiamo: la scuola, anche e soprattutto nella difficile fase che stiamo vivendo, ha rappresentato e rappresenta un pilastro essenziale per la tenuta sociale e democratica del nostro Paese.
Ora non c’è più nemmeno l’alibi della mancanza di risorse perché ora le risorse ci sono, visto che la manovra finanziaria ha previsto ingenti investimenti pari a 33 mld di euro da cui però, ancora una volta, vengono esclusi la scuola e il personale scolastico in esatta coerenza con quanto accaduto nell’ultimo ventennio.
E, di fatto, proprio in questa legge di bilancio, le risorse dedicate alla scuola sono risibili sia in termini assoluti che in termini relativi, cioè rispetto ad altri settori anche pubblici. Basterebbe leggere le cifre assolute per avere una conferma: le risorse della missione “Istruzione scolastica” si riducono del 5,2 per cento rispetto a quanto previsto dalla legge di assestamento del 2021. Cioè sulla scuola si torna a risparmiare tagliando.
In sintesi
A fronte degli 87 euro medi mensili lordi di aumento per il rinnovo di un contratto nazionale di fatto scaduto da tre anni su cui ci si aspettava un incremento significativo, per i docenti si prevedono solo 210 mln di euro in più, corrispondenti a circa 12 euro medi mensili.
Considerando il divario di circa 350 euro rispetto alle retribuzioni degli altri settori pubblici che hanno titoli di studio equivalenti, le risorse in Manovra non solo sono insufficienti a colmarlo o quanto meno a dimezzarlo, ma sono addirittura gravate da ipoteche ideologiche e lesive della libera contrattazione fra le parti negoziali, dal momento che i pochi soldi che si “concedono” devono essere erogati esclusivamente a quel personale che mostra “dedizione” al lavoro. Quindi pochi euro e non per tutti.
Dopo bonus, ora abbiamo una nuova trovata: la dedizione. Una definizione patetica che richiama fallimentari stagioni del passato, un insulto a chi lavora ogni giorno e ha dimostrato ancora di più nella pandemia quanto sia centrale il lavoro a scuola per il Paese.
Da tempo ormai abbiamo sollevato la questione dell’equiparazione degli stipendi dei docenti a quelli dei colleghi europei e a quelli dei pari grado degli altri settori pubblici: la risposta è la presa in giro degli “spiccioli a dedizione”. Non solo, si fa anche una operazione sbagliata e divisiva all’interno del mondo della scuola, dal momento che vengono spostate al personale dirigente risorse che nelle prime bozze della legge di bilancio erano destinate ai docenti piuttosto che prevedere fondi aggiuntivi.
Per il personale ATA è possibile attingere a quota parte dei 200 milioni per la revisione dei profili professionali da suddividere tra tutti i lavoratori della Pubblica Amministrazione.
Si stanziano 300 milioni di euro per prorogare i contratti covid solo per il personale docente, come se non si sapesse che le risorse sono state utilizzate in gran parte per assumere collaboratori scolastici, ossia il personale che non è destinatario delle proroghe previste.
Si combatte il sovraffollamento delle classi con una misura a costo zero, scommettendo in prospettiva sulla denatalità piuttosto che aumentando gli organici.
Si inserisce l’insegnamento di scienze motorie nella scuola primaria ma, ovviamente, solo a organico invariato, utilizzando quota parte dei pensionamenti per sostituire insegnanti di posto comune con i laureati in scienze motorie.
Il Governo non si risparmia un’altra perla quando, nel motivare l’incremento dei fondi per la dirigenza, descrive il loro lavoro sprovvisto del necessario supporto nella gestione amministrativo-contabile delle scuole. Collaboratori del dirigente, DSGA, assistenti amministrativi e tecnici, collaboratori scolastici scompaiono così con un tratto di penna.
Restano in un limbo insopportabile i percorsi di stabilizzazione dei docenti, la riforma, sempre rinviata, del reclutamento, incentrata sulla formazione in ingresso; restano scoperte 27 mila cattedre di sostegno dal prossimo anno mentre gli specializzati del V e VI ciclo TFA sono fuori dai concorsi e dalle procedure di assunzione.
Non si affronta l’emergenza mobilità, con oltre 80 mila insegnanti vittime del blocco triennale e i DSGA vincitori di concorso bloccati dal vincolo quinquennale sulle sedi di immissione in ruolo, tutti costretti a lavorare lontano da casa, anche quando i posti su cui potersi trasferire ci sono e vanno a supplenza.
Manca una soluzione per i facenti funzioni Dsga da anni impegnati nella direzione amministrativa delle scuole.
Si rinforza l’oppressione burocratica che soffoca la scuola italiana da 20 anni e che pesa sul lavoro di tutte e tutti e oggi aggravata da passweb e da tutte le altre incombenze che non avrebbero mai dovuto essere scaricate sulle scuole.
Tutto ciò è inaccettabile. Ci rendiamo conto della fatica e spesso della sfiducia che ogni giorno vive chi è impegnato nella scuola, ma bisogna dare un segnale chiaro alla politica. Faccio appello alle RSU che dedicano una parte della loro vita quotidiana al difficile impegno della rappresentanza nei luoghi di lavoro, a tutte le iscritte e iscritti della FLC CGIL e a tutto il personale della scuola.
Il tempo degli annunci ormai è scaduto; è giunto invece il tempo di un cambiamento reale, che restituisca alla scuola pubblica la centralità che merita, per il futuro del paese.
Per tutte queste ragioni è necessario mobilitarci ora e far sentire la nostra voce, a partire dallo sciopero della categoria proclamato per il 10 dicembre.
Non possiamo e non vogliamo uscire dalla pandemia uguali o addirittura peggiori di come ci siamo entrati e per questo il 10 dicembre scioperiamo e scendiamo in piazza, tutte e tutti, insieme.