Sono passati cinque anni dalla scomparsa di Pino Galbani. Pino ci lasciava nel giorno di Natale del 2016, ma il nostro affetto e la nostra riconoscenza per lui rimangono fortemente vivi e tante sono le immagini che conserviamo della sua figura: famiglia di umili origini (padre carrettiere, madre casalinga); operaio alla Rocco Bonaiti (ex fabbrica metallurgica dove oggi sorge l’Istituto Bertacchi); fiero oppositore della guerra fascista; sindacalista in prima linea nello sciopero del marzo 1944, a causa del quale venne deportato nel lager nazista di Mauthausen-Gusen I; poi, dopo un lungo e doloroso silenzio, instancabile educatore, pronto a portare ogni giorno agli studenti delle scuole lecchesi il suo messaggio di pace e fraternità fra gli uomini.
Giuseppe “Pino” Galbani era nato a Ballabio il 10 ottobre 1926 e aveva solo 17 anni, proprio l’età degli studenti a cui amava parlare, quando, il 7 marzo 1944, con altri dipendenti della Bonaiti partecipò allo sciopero generale che si tenne per chiedere migliori condizioni di vita e protestare contro l’occupazione nazifascista. In quell’occasione circa 40 operai, tra i quali Pino, vennero arrestati dai fascisti. Incarcerato a Como e poi a Bergamo, da lì partì nei vagoni piombati per il campo di concentramento di Mauthausen, in Austria, dove gli diedero la tristemente nota divisa a righe. Fra stenti, fame e quotidiane violenze fu costretto ai lavori forzati per la costruzione del campo di Gusen II, una nuova struttura che doveva ospitare altri dannati come lui.
Pino raccontava che riuscì a sopravvivere in questo inferno grazie alla complicità che nasceva dal dover resistere a ogni costo, alla vicinanza assidua dei compagni e alla solidarietà che si instaurava fra loro. Come era solito ripetere: “E’ un ricordo bello perché significa che, nonostante tutto, quell’inferno non riusciva a distruggere completamente il senso di umanità e lealtà.” Il 5 maggio 1945 il campo fu evacuato dai soldati americani. Dopo oltre 14 mesi di prigionia, Pino era libero, ma la gioia fu presto sostituita dal dolore per i compagni morti. Tornato finalmente a Lecco la mattina del 29 giugno, è significativo che prima ancora di far visita alla famiglia volle raggiungere i vecchi colleghi alla Rocco Bonaiti.
Trascorso il difficile periodo di reinserimento nella vita quotidiana da uomo libero, Pino riprese il lavoro in fabbrica e l’attività sindacale come delegato e membro del Comitato provinciale della FIOM CGIL Lecco. In un primo momento tentò di raccontare quello che era successo, ma poi, perseguitato dai ricordi che nel sonno diventavano incubi e addolorato per non essere creduto, per lungo tempo non volle più parlare dell’orrenda esperienza vissuta. Fino alla metà degli anni ‘90, quando decise di rendere pubblico il proprio passato per contrastare il dilagare dei deliri negazionisti: scrisse un libro (“58881. Un diciottenne nel lager di Mauthausen-Gusen”) e soprattutto iniziò ad andare nelle scuole portando la propria testimonianza di deportato. Ai più giovani descriveva la follia dell’occupazione nazifascista e la vita del campo di concentramento, “per evitare che questi orrori si ripetano”.
Il grande spessore morale di Pino è ben rappresentato dal suo comportamento una volta rientrato al lavoro alla Rocco Bonaiti, dove ritrovò chi quel fatidico 7 marzo ‘44 telefonò ai fascisti per stroncare lo sciopero: lui e Lino Funes – altro operaio dell’azienda sopravvissuto a Mauthausen – avrebbero voluto farla pagare al delatore, ma “smettemmo subito di cercare vendetta perché capimmo che era inutile e sbagliato allungare la catena dell’odio”. Ricordando lui vogliamo contribuire a tener viva la memoria di ciò che è stato, affinché il nostro Paese continui ad avere un futuro.